Home

About me

Manifesto

Blog

Contatti

Quanto è difficile essere il nostro pubblico?

da | 2 10 23 | Istituzioni

Ma davvero riuscire a parlare come il nostro target è una missione di quelle che tolgono il sonno? È realmente così complicato riuscire ad allinearsi alla voce e al mood del destinatario della nostra campagna?

Almeno, questo è quello che si percepisce a ogni singola campagna di comunicazione promossa da una qualsiasi pubblica amministrazione.

Parlo a chi un target l’ha individuato, ovvio.

Chiaro come l’acqua: per riuscire a entrare in sintonia con il tuo pubblico devi averne uno, devi sapere dove si trova, a cosa è interessato e cosa puoi offrirgli. Oggi non ci soffermeremo tanto né sull’importanza nella definizione corretta del pubblico né tantomeno su quanto sia importante non andare a pesca con la dinamite.

Parliamo invece solo di quanto sembri difficile riuscire ad allinearsi al linguaggio.

Ai giovani dobbiamo parlare come fanno loro?

Ogni sacrosanta campagna di comunicazione destinata a un pubblico giovane parte dal presupposto che per parlare con i ragazzi si debba parlare come i ragazzi. Ed è anche giusto, nell’ottica di intercettarli.

“Ormai solo i boomer usano la parola boomer”

Solo che nel 99% dei casi la campagna parla come i vecchi pensano che parlino i ragazzi e ne viene fuori un disastro paragonabile solo alla campagna per l’utilizzo del preservativo promossa nelle scuole a inizio anni 2000: una maglietta con un bel preservativo sorridente con tanto di scritta gigante tipo Usa il palloncino.

Ormai abbiamo tutti gli strumenti a disposizione per non produrre campagne come “Più che un posto fisso, è un posto figo” ed evitarci le comparsate estemporanee di Orietta Berti, a partire da giovani, quale che sia la loro età.

Se vuoi parlare con un pubblico che non ti appartiene al 100% la cosa migliore che puoi fare è coinvolgere direttamente il tuo pubblico, sbirciare TikTok, guardarli nel loro habitat naturale, intercettarne paure, sogni e desideri (che poi, parlando di lavoro, non è così complicato visto che letteralmente te li scrivono ovunque).

Sennò davvero si finisce come Montgomery Burns.

Come si presenta ogni campagna social promossa dalla Pubblica Amministrazione

Possiamo travestirci da giovani?

Ehm… no. Non possiamo travestirci da giovani, perché loro ci beccherebbero in un batter d’occhio. Ma soprattutto, non è necessario farlo. È necessario, quando cerchi di convincere gli under 30 a fare un concorso nella P.A. mostrargli solo facce sorridenti e solo mansioni fike!® come Social Media Manager o l’Ufficio stampa? C’è bisogno di questo per convincere uno studente universitario che in fin dei conti il posto fisso non è così male? E, ancora, sicuri che basti?

Elogio dei giovani

Più che di “giovani” dovremmo parlare di “quelli più giovani di noi”, ma il succo è lo stesso (e mi fa sentire parecchio anziano dire quello che sto per dire): i giovani sono freschi e attivi, gli adolescenti sono volubili, pieni di speranze e disillusi, sognatori e cinici, calmi e agitati. Insomma, sono tutto e il contrario di tutto, così uguali da essere uno diverso dall’altro… esattamente come i giovani prima di loro e quelli prima ancora.

La campagna per il posto figo

Come detto, l’ultimo spunto in ordine cronologico ce lo ha fornito la campagna “Più che un posto fisso è un posto figo”, in cui si mostra quanto sia entusiasmante lavorare nella P.A. e quante mansioni super esistano, con aggiunta di cameo di Orietta Berti.

Lo so, questo post può sembrare decisamente fuori tempo massimo ma non è così, perché quello delle campagne che vogliono parlare come i giovani è un motivetto che si ripropone sempre vuoi con il rap, vuoi con nomi altisonanti in inglese o, magari, cercando di far passare l’idea che ci si diverta un bel po’.

Ma davvero i giovani (o quelli più giovani di noi) pensano solo a quello?

Io, sinceramente, non credo.