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Primum vivere. Ossia l’elenco delle priorità

da | 4 09 23 | Politica

Torniamo per un attimo sulla questione clima e affrontiamola da un altro punto di vista, ovvero quello di quanto possa o non possa essere redditizio affrontare il tema. I contenuti sarebbero tanti, quindi cercheremo di affrontarli in più articoli e in maniera trasversale tra politica, aziende, istituzioni e cittadinanza. Del resto, avevamo già iniziato qui.

È l’unico pianeta su cui possiamo litigare (e non è una questione da poco)

Da questo punto di vista la questione è abbastanza semplice: al momento c’è solo un pianeta sul quale possiamo camminare, lavorare, sognare un futuro, arrabbiarci, innamorarci e litigare. Niente più pianeta terra e addio a tutto questo.

Vista così sarebbe abbastanza facile comprendere come quella dovrebbe essere la nostra assoluta priorità. Come dire, se ci diamo appuntamento in un prato enorme per sfidarci giocando a calcio è interesse di tutti disegnarne i confini e mettere 4 sassi per delineare la porta. Perché altrimenti non si gioca.

Primum vivere deinde philosophari

Eppure questo non sembra valere per il nostro pianeta.

L’elenco delle priorità è soggettivo

Gran parte delle motivazioni risiede in questo. Ognuno di noi si crea un elenco di priorità, in base alla percezione della loro attualità, della loro urgenza e dell’impatto che avranno sulle nostre vite. Questo significa – esasperando il concetto e seguendo la logica del buon senso (tanto in voga e di cui parleremo) – che “non mi interessa che tra 30 anni finirà il mondo: a me interessa trovare un modo per portare il pane in tavola OGGI“.

Del perché vediamo il problema come lontano abbiamo già parlato; abbiamo detto poco, invece, del fatto che per quanto sia brutto è normale che sia così. Tutti o quasi tutti sentono addosso pesi più urgenti rispetto alla crisi climatica, tutti o quasi tutti pensano che tocchi ad altri risolvere i problemi.

E attenzione: non dico che la crisi climatica non sia attuale e urgente, dico che è raramente percepita come tale, al di fuori di un mucchio di post con cui le persone dicono che qualcuno dovrebbe fare qualcosa.

Ma non sarebbe compito della politica?

Appunto: non dovrebbero essere i politici a occuparsene o, almeno, a insistere per far entrare nel discorso comune la necessità di salvare la terra? (Suona un po’ film americano anni ’90 detta così).

La risposta è: “sììììììììì maaaaaa…”

Non so in che altro modo dirlo. Ci sono infatti due enormi universi di ragioni che fanno in modo che non sia così e se hai ancora un po’ di pazienza te ne parlo qui sotto.

Non mi interessa

Punto primo: i politici sono esseri umani esattamente come tutti gli altri.

Questo significa che potrebbero non percepire la questione come urgente, avere altre priorità, essere disinformati o addirittura così spaventati da non volerne parlare.

Non ho interesse

Potrebbero non essere interessati all’argomento ma potrebbero anche non avere interesse nel portare avanti il discorso. È una cosa molto diversa, ma forse il problema risiede nella combinazione delle due.

Mettiamo caso per un attimo che chi deve dettare l’agenda si accorge che c’è una grossa fetta di popolazione che nega la crisi climatica o che ha un sacco di motivi per non svoltare verso il green.

Potrebbe pensare di aver trovato un bacino di voti sufficientemente grande da garantirgli ottimi risultati e volerlo sfruttare nel suo interesse. Brutto? Sì, boh, forse, non so. Realistico? Certamente.

Se entrambi gli universi convivono nella stessa persona è ovvio che il clima diventi argomento divisivo, che si cerchino pretesti per polemizzare, che si minimizzi o che si faccia finta di nulla.

Resta solo un dubbio: dove governi se poi un pianeta non ce l’hai più?