Questo momento doveva arrivare prima o poi. E puntualmente è arrivato, portandoci in una nuova fase nel mondo della comunicazione: l’intelligenza artificiale passa da possibile distruttrice della terra come nei film americani anni ’90 a valido aiuto nel lavoro – lavoro che, ahimé – sarà proprio lei a spazzare via, fino a rappresentare in toto il nuovo prototipo di stagista.
Non uno stagista qualunque, però, quello stagista a cui dare sempre la colpa di tutto se le cose vanno male, anche quando la responsabilità è tua e solo tua.
I fatti
Per chi si fosse perso la notizia, mi riferisco alla storia di quel professore che qualche giorno fa ha scritto un post di minacce nei confronti della figlia di Giorgia Meloni, post che non troverai qui ma che puoi comodamente reperire su Internet.
Ora siamo già alla fase 2, ovvero quella in cui ovviamente lui si scusa per quello che l’autore del post ha definito “un gesto stupido, scritto d’impulso. Chiedo scusa per il contenuto del post: non si augura mai la morte, soprattutto a una bambina. Ma non ritiro le mie idee politiche: non mi sento rappresentato da questo governo“, cogliendo l’occasione poi per tratteggiare i caratteri del suo personaggio: “I miei studenti mi vogliono bene. Odio ogni forma di violenza, amo gli animali, faccio volontariato. È stato un errore”.
Ora, al di là del fatto che, come sappiamo questo non è un buon modo per scusarsi, c’è un altro punto di cui parlare ed è quella dichiarazione in cui sostiene di aver fatto preparare il post a ChatGpt, per poi pubblicarlo in autonomia.
L’AI come nuovo stagista
Quindi, ricapitolando, sarebbe andata così: una persona indignata chiede all’AI di scrivere qualcosa di brutto brutto (ma brutto brutto) contro una persona, copia il testo e lo incolla sui social, senza pensare minimamente alle conseguenze che ne deriveranno.
Già, perché ci sono un po’ di cose “troppo sbagliate per essere vere” in tutto questo.
La prima, evidente, è che la responsabilità di ciò che pubblichiamo è nostra, anche se il contenuto ci viene scritto, proposto o suggerito da altri. Ed è per questo motivo che, molto spesso, le consulenze in questi ambiti sono di tipo fiduciario. In nessuno modo, infatti, sarà l’intelligenza artificiale a rispondere di quel post, né da punto di vista legale né, tantomeno, per conseguenze più dirette e tangibili, come ad esempio sospensioni e/o licenziamenti.
E non sarà neanche la faccia di ChatGpt a finire sui giornali e ad avere una crisi di reputazione.
L’intelligenza artificiale è peraltro molto restia a produrre contenuti di questo genere, quindi boh.
E poi c’è il cuore di questo post, la battaglia campale che provo a portare avanti da anni con scarsissimo successo: lasciate stare gli stagisti (reali o virtuali).
Perché se è vero che può sembrare una scappatoia facile per scaricare le nostre responsabilità sull’ultima ruota del carro e anche che in qualche modo può sembrare credibile l’equazione stagista=persona inesperta che commette errori legati all’impulsività, è anche vero che un controllo finale c’è sempre.
Sia che si tratti di un privato sia che siano gli account di un’azienda, di un ente pubblico o di un personaggio famoso: non provate a riciclarvi questa scusa quando in futuro pesterete una fumante torta di mucca in mezzo ai prati.
Cosa impariamo da una storia tutta sbagliata
Di cose da imparare grazie a questa vicenda ce ne sono tante; tralascerò, qui, il fatto che dobbiamo imparare a non augurare morti o tragedie alle persone, né privatamente né tantomeno pubblicamente. Diciamo che ci si arriva da soli, ecco.
Il punto principale è che sull’uso dell’intelligenza artificiale abbiamo detto così tanto – e in maniera così confusa – da renderla comprensibile a tutti nei principi superficiali, ma non abbastanza da prenderla sul serio. Se l’intelligenza artificiale diventa il nuovo stagista pasticcione, noi andiamo incontro a bruttissime figure.
Siamo poi di nuovo di fronte all’incapacità delle persone – in questo caso c’è l’attenuante dell’essere un privato cittadino – di scusarsi come si deve: urge un ripasso in vista del prossimo futuro.
1 – Non è “una leggerezza fatta senza pensare” ma una stupidaggine che non andava scritta
2 – Non importa se dal lunedì al sabato salvi cuccioli di panda se poi la domenica ti trasformi. Le due cose non si escludono e, allo stesso tempo, è inutile metterle in relazione. Il capo della Germania (no, non sto facendo paragoni sul caso) dai baffi discutibili era un grande amante dei cani…
3 – Fare mea culpa significa proprio prendersi la colpa e ammettere l’errore, senza minimizzarlo e senza cercare per forza la condivisione delle responsabilità
4 – Il responsabile è sempre “quello più in alto” e non quello in fondo alla catena alimentare.
Quello che però qui importa più di tutto, per noi, non è la vicenda in sé, che avrà i suoi sviluppi fisiologici, ma quello che questa storia può insegnare a tutti quelli che intendono comunicare in via pubblica e/o ufficiale e che, per forza di cose, prima o poi faranno uno sbaglio o scriveranno qualcosa di stupido.
Ora sapete cosa non fare e come non farlo.